La scuola dei suoni

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La scuola dei suoni

La scuola dei suoni: i principali metodi didattico-musicali del XX secolo

La didattica della musica e dello strumento musicale ha conosciuto, tra la fine del XIX e il XX secolo, dei nuovi metodi, frutto di intuizioni geniali e di sperimentazioni coraggiose. Alcuni grandi teorici e musicisti, così, hanno consegnato ai nuovi docenti dei validi strumenti di lavoro che mettono al centro della missione didattica tanto l’alunno quanto il risultato musicale.  In maniera diversa, ognuno ha curato l’aspetto ludico dell’insegnamento attraverso percorsi, strumentazioni, strategie proprie.

L’articolo cercherà di offrire una panoramica dei principali metodi del periodo in oggetto, risultati dell’esperienza pedagogico-musicale di Jacques Dalcroze, di Zoltan Kodaly, di Karl Orff e di Schinichi Suzuki.

Le innovazioni pedagogiche di Dalcroze

Emile Jaques-Dalcroze (1865-1950) è stato il creatore dell’omonimo metodo di educazione musicale, tra i più noti al mondo. Già docente di armonia e solfeggio al Conservatorio di Ginevra, si distingue per il suo ingegno metodologico e per il sofisticato intuito pedagogico musicale. Secondo Jaques-Dalcroze l’educazione al ritmo e per mezzo del ritmo sviluppa, mediante la partecipazione del corpo, non solo la musicalità, le facoltà uditive e la presa di coscienza degli elementi basilari della musica (tempo, misura, ritmo, canto e interpretazione espressiva), ma anche molte capacità motorie come la coordinazione tra gli arti, in particolare tra quelli superiori, che risulta essere di grande aiuto nell’apprendimento del pianoforte.

Il Maestro svizzero adotta dal greco la parola euritmica per definire il modo in cui si deve eseguire una melodia o un brano musicale, ossia non solo ritmo preciso ma anche ben compreso e assimilato a livello propriocettivo. Tale prospettiva amplia il concetto di educazione musicale, estendendolo e integrandolo con altre discipline artistiche e riuscendo a creare una stretta sinergia con la danza, la poesia, la coreografia e l’espressione coreutico-creativa. Tutto ciò ha l’obiettivo di rappresentare i suoni, le melodie e il ritmo, ottenendo, attraverso la stimolazione di mente, corpo e creatività, una partecipazione cosciente e coinvolgente, “declamando” il processo di comprensione e di interpretazione del linguaggio musicale in tutte le sue sfaccettature.

Lo stesso processo può essere trasferito anche a livello strumentale, così da ottenere degli allievi “musicali e musicisti, anziché delle ‘macchinette’ che nella migliore delle ipotesi eseguono i brani a tempo metronomico, quindi ritmico ma non euritmico!”. Sottolinea, poi, l’importanza dell’esperire gli effetti della musica, sia dal punto divista visivo che della coordinazione motoria, insistendo cioè sull’apprendimento e il miglioramento progressivo dell’azione di lettura, sul rispetto delle dinamiche, delle articolazioni, delle irregolarità ritmiche, e su come esse vengono tradotte, elaborate e presentate. Dalcroze costruisce così uno straordinario codice corporeo per esprimere tutto ciò che si legge su uno spartito. Le lezioni si svolgono in gruppo e ogni allievo deve essere parte attiva, creativa e sinergica di esse, in quanto la crescita, la maturità individuale e le capacità ritmico-espressive orchestrali deriveranno da una buona integrità e da una cosciente percezione dell’insieme.

Il metodo è costituito da tre parti inscindibili che vengono trattate nel giusto “dosaggio” in ogni lezione: la ritmica, attraverso la quale si sviluppa la capacità corporea di risposta al ritmo e si apprende con precisione il linguaggio musicale legato ai valori delle note, la metrica e il fraseggio; il solfeggio, che educa la voce e l’orecchio (melodico oltre che ritmico) attraverso itinerari di gestualità, intonazione e scrittura; l’improvvisazione, che, attraverso il vocabolario costruitosi con la ritmica e il solfeggio, sviluppa la possibilità di esprimere la propria personalità e la libera creatività.

Il livello elementare (ritmica) si basa sul connubio mente-corpo. Esso mira ad abituare i bambini a una rapida reazione a sollecitazioni sonore e crea, così, i presupposti per un ascolto riflessivo, mediato dall’uso consapevole della corporeità. Il livello intermedio (solfeggio) crea il collegamento tra gli esercizi di ritmica e l’impiego della voce: esso affina le funzioni auditive, le facoltà analitiche e il senso armonico-tonale. L’improvvisazione pianistica segna il punto di arrivo e rappresenta la sintesi delle nozioni di ritmica e solfeggio applicate allo studio del pianoforte: l’allievo applica l’insieme delle conoscenze assimilate nel corso delle fasi precedenti mediante attività di creazione musicale estemporanea, consapevole, mirata ad ottenere un preciso ed intenzionale risultato sonoro-comunicativo. Secondo Jaques-Dalcroze lo studio dell’improvvisazione al pianoforte combina le nozioni di ritmica e di solfeggio in vista della loro esteriorizzazione musicale attraverso il tocco, stimola il senso del tatto e insegna agli allievi a interpretare al pianoforte il pensiero musicale di natura melodica, armonica e ritmica.

L’impiego didattico di materiali come elastici, palline e simili mira a instaurare e rafforzare il sincronismo mente-corpo, a formare il “senso muscolare” (quello che secondo Jaques-Dalcroze ci permette di comprendere la musica attraverso il corpo) e, in ultima istanza, a consolidare la “coscienza musicale” sulla base della percezione.

Il concetto pedagogico-musicale di Kodaly

La metodologia didattica pensata da Kodaly concepisce la musica come mezzo per crescere e per rendere la formazione di ogni essere umano più completa. Sono fondamentali un’oculata scelta del materiale musicale da utilizzare nella didattica, il potenziale del canto corale, la necessità di rendere accessibile a tutti l’educazione musicale in tutti i gradi di istruzione, le modalità di insegnamento da applicare e l’utilizzo di strumenti didattici specifici. I princìpi che muovono il concetto del compositore ungherese sono la qualità dei mezzi espressivi musicali e lo studio del repertorio tradizionale dell’ambiente di riferimento. La voce, per Kodaly, rappresenta uno strumento che tutti posseggono e dunque tutti possono utilizzare per stimolare, attraverso il canto, l’orecchio e le capacità creative, emotive e sociali.

L’innovazione del “metodo” Kodaly (il Maestro non ha mai prodotto una vera e propria opera didattica) sta nell’introduzione di nuovi costrutti. Il primo è quello della chironomia: utilizzando il corpo, in particolare i gesti, le note musicali prendono forma. Ciò permette, coordinando vista e udito, di decifrare il linguaggio musicale. Altra risorsa è quella della solmisazione, per cui le sillabe rendono capaci di indicare i gradi di una scala. Si prosegue con la notazione ritmico-letterale: essa raffigura, unendo melodia e ritmo, ciò che si avverte interiormente. Il solfeggio relativo (anche detto Do mobile) aumenta la capacità di sentire una determinata nota o una breve melodia, di intonarla e di leggerla. Ciò consente all’alunno di intendere l’elemento musicale non come un insieme di varie note distinte, bensì come un unico sistema di rapporti tra i vari suoni. Infine, il pentatonismo, ovvero l’utilizzo di scale pentatoniche (composte, cioè, da cinque suoni) prive di semitoni. Tale strategia rende più facile l’intonazione e migliora la ricezione uditiva.

Il metodo di Carl Orff

Più che un metodo, quella di Orff consiste più in una metodologia didattico-pedagogica. Nata nel 1924, questa ha rappresentato un nuovo contributo per il modo di coinvolgere il corpo nell’educazione musicale. Al metodo di Dalcroze, il quale già aveva intuito l’importanza del movimento nel canto e nella musica strumentale, egli aggiunge il grande rilievo che ha il fattore ritmico. Lo Schulwerk di Orff si basa sulla semplicità della pratica musicale e sulle scelte di repertorio “a misura di bambino”. Esso non impone alcuna rigida teoria e si serve della sola scala pentatonica DO-RE-MI-SOL-LA.

La musica, nell’insegnamento, non viene intesa in funzione di esecuzioni di brani o di semplici melodie: il risultato, infatti, è il frutto dell’esperienza personale dei bambini, del momento vissuto, delle performances, durante le quali essi utilizzano la voce, il corpo e degli strumenti a percussione ritmici e melodici pensati appositamente per pratiche quali l’accompagnamento a filastrocche e stornelli.

Questa metodologia pensa dunque all’esperienza pratica e alla sperimentazione attiva come punti di partenza di un apprendimento musicale per i più piccoli, dissociandosi da qualsiasi assimilazione passiva.

La musica, come il linguaggio, verrà insegnato in prima istanza nella sua forma esecutiva, poi si somministreranno gli schemi grammaticali e formali preposti. Grazie a questa modalità di apprendimento della musica saranno più immediate la socializzazione, il confronto, l’attenzione, l’intuizione e la reattività adeguata agli stimoli esterni.

È notevole l’inclusività del metodo didattico di Orff, poiché permette la partecipazione simultanea di un’utenza vasta, al netto della eterogenea predisposizione musicale dei singoli.

Il bambino prima del Concerto: il metodo Suzuki

Menzione doverosa deve essere fatta per Shinichi Suzuki (1898-1998), violinista giapponese che negli anni Trenta del Novecento arriva in Europa per perfezionarsi in Germania (sarà amico, tra gli altri, di Albert Einstein).

Il suo grande merito è stato quello di aver intuito la grande importanza dei neuroni specchio prima che Rizzolati ne cominciasse a parlare: Suzuki elabora, infatti, un metodo basato principalmente sull’imitazione, ma non solo. Nella sua idea, che ormai è stata sposata in tutto il mondo, i punti cardine sono: sviluppare appieno il talento di ogni bambino, concentrarsi su “come” vengono conseguiti i risultati, ascoltare prima di suonare e suonare prima di leggere, mirare a un’educazione globale dei musicisti del futuro, delle donne e degli uomini del domani. Secondo Suzuki, lo studio dovrebbe partire intorno ai 3-4 anni di età, utilizzando degli strumenti che si adattino, per grandezza, alla corporatura del bambino che li suona; la famiglia, come sottolinea lo stesso autore, è posta al centro del metodo e l’insegnante, modello da imitare, deve interpretare, valorizzare e condividere i risultati ottenuti, oltre ad aver cura di posticipare lo studio della tecnica e del repertorio didattico di riferimento a quando saranno consolidate le capacità cognitive e metacognitive sullo strumento. Per il bambino l’imitazione dovrà rappresentare un gioco e leggere con lo strumento sarà una pratica successiva all’acquisizione della consapevolezza e dell’orientamento tecnico-strumentale.

Gioco, pazienza, inclusione e armonia dell’ambiente circostante favoriscono un’acquisizione non solo della musica nelle sue varie sfaccettature, ma anche di quei comportamenti positivi e ben strutturati che saranno il fondamento della personalità dei bambini quando arriveranno a partecipare attivamente alle dinamiche culturali e sociali.

Con il metodo Suzuki verranno rispettati i tempi e gli stili di apprendimento di tutti.

Naturalmente in questa sede sono state prese in considerazione solo le caratteristiche più importanti dei metodi trattati, una lettura che comunque permette di inquadrare le basi e i principi operativi di ognuno. Essi, infatti, necessitano di concreti approfondimenti e di dimostrazioni pratiche per essere compresi appieno, ma certamente un approccio teorico conoscitivo di massima può servire a fare luce sui loro punti di forza, che ancora oggi li rendono risorse e riferimenti importanti per un buon docente.

La missione delle nuove leve di insegnanti è adattare questi metodi ai tempi e agli stimoli moderni, senza lesinare nuove idee e nuove strategie, ponendo l’educazione artistica al centro del grande progetto formativo dei cittadini del domani.

BIBLIOGRAFIA

  • Dalcroze E., Le rythme, la musique et l’education, 1920; 1935, Paris
  • In movimento – Rivista dell’Associazione Italiana Jaques-Dalcroze N° 9/12, pag.26
  • Orff-Keetman, Musik für Kinder, 1950-1954, Mainz, Schott
  • E. Massimino, Omaggio a Shinichi Suzuki, in «A tutto arco», anno I, n. 2, 2008, pp. 24–27.

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