Il campo di concentramento di Terezín, la città delle false speranze

Il campo di concentramento di Terezín, la città delle false speranze

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Il campo di concentramento di Terezín, la città delle false speranze

Un esempio singolare di campo-ghetto, trasformato in simbolo di propaganda nazista e luogo di straordinaria resistenza culturale.

La città di Terezín (Theresienstadt), costruita tra il 1780 e il 1790 per volere dell’Imperatrice d’Ungheria e Boemia, nasce come fortezza militare. Tuttavia, il suo nome è tristemente legato alla storia dei campi di concentramento durante il periodo nazista. Nel 1940, in seguito all’occupazione della Cecoslovacchia, la Gestapo prese il controllo della città e la trasformò: la cosiddetta “Grande Fortezza” fu convertita in un ghetto circondato da mura, mentre la “Piccola Fortezza” divenne una prigione.

La nascita del ghetto e la realtà del campo

Il progetto di trasformare Terezin in un campo di concentramento fu voluto da Reinhard Heydrich, uno dei capi delle SS. In breve tempo, la città divenne il luogo di destinazione per migliaia di ebrei deportati da Cecoslovacchia, Germania e Austria. Gli abitanti non ebrei furono espulsi, trasformando Terezin in una comunità ebraica completamente isolata.

Originariamente, il ghetto era stato concepito come luogo di “ritiro sicuro” per anziani ebrei, con la cinica propaganda nazista che lo descriveva come una sorta di città termale. Tuttavia, l’idea iniziale non fu mai realmente attuata: Terezin divenne invece un luogo di transito verso i campi di sterminio e vi furono deportati ebrei di tutte le età.

Terezín: il “ghetto dei bambini”?

Terezín è spesso chiamato “il ghetto dei bambini” per via della consistente presenza infantile: sulle 140.000 persone transitate dal ghetto, circa 15.000 erano bambini, ma alla liberazione ne restavano solo 1.633. L’espressione è tuttavia inesatta: per i nazisti, Theresienstadt era considerato un Altersghetto, un ghetto per anziani. La presenza di tanti bambini è spiegabile dal fatto che vi furono internate intere comunità, composte da ebrei di tutte le età e provenienti da diverse nazioni, come Cecoslovacchia, Germania, Paesi Bassi e Danimarca.

A prendersi cura dei bambini fu Jacob Edelstein, che cerco di ottenere dai nazisti il permesso di creare alloggi speciali per loro. Dal 1943, quasi tutti i bambini vivevano in case per l’infanzia (per i 10-15 anni) o in asili (per i 5-10 anni). Ogni gruppo di bimbi veniva in una stanza, chiamata Heim (case), una specie di rifugio dalle tensioni delle sovraffollate baracche degli adulti e un’opportunità di ricevere un’educazione, anche se clandestina.

L’istruzione come strumento di resistenza

Ogni Heim costituiva una piccola unità sociale separata, dove i bambini erano educati all’autonomia e alla solidarietà. Dovevano pulire le proprie stanze, organizzare i pasti e aiutare i compagni più piccoli o gli anziani soli del ghetto. Le case dei bambini erano meno affollate rispetto a quelle degli adulti e offrivano un vitto migliore, anche se insufficiente.

Le attività educative erano inizialmente vietate, ma venivano svolte in segreto, guidate da educatori, molti dei quali sionisti convinti. L’insegnamento si concentrava sui temi ebraici, mentre il canto e il disegno avevano un ruolo fondamentale, data la scarsità di libri di testo.

Tra i nomi più significativi legati all’educazione a Terezin vi è quello di Friedl Dicker-Brandeis, un’artista formatasi alla Bauhaus. Deportata a Theresienstadt, Dicker-Brandeis incoraggiò i bambini a esprimersi attraverso il disegno, trasformandolo in una valvola di sfogo per le loro paure e tensioni emotive. Grazie a questa attività, sono stati conservati circa 4.000 disegni, molti dei quali sono oggi esposti nella sinagoga Pinkasova di Praga. Questi lavori, spesso accompagnati da testi poetici, rappresentano una testimonianza unica della resilienza e creatività dei bambini del ghetto.

Una cultura fiorente in un contesto di orrore

Nonostante le condizioni estreme, Terezin fu teatro di una vivace attività culturale. Concerti, conferenze, spettacoli teatrali e attività artistiche rappresentavano uno spiraglio di normalità e resistenza culturale. I bambini del ghetto collaborarono anche alla pubblicazione della rivista illustrata Vedem, che raccoglieva poesie, racconti e recensioni. Tra il 1943 e il 1944 fu messa in scena l’opera per bambini Brundibar di Hans Krása, divenuta simbolo della lotta contro l’oppressione.

La visita della Croce Rossa e la propaganda nazista

Nel 1943, l’arrivo di 500 ebrei danesi spinse le autorità danesi a richiedere una visita ufficiale della Croce Rossa Internazionale. Adolf Eichmann accettò, con l’intento di nascondere la realtà dei campi di sterminio. Furono deportati ad Auschwitz circa 7.500 ebrei giudicati “impresentabili” e furono allestiti negozi, caffè e altri locali per simulare una vita di benessere nel ghetto. La visita culminò con un’esibizione dell’orchestra dei bambini.

Le immagini raccolte durante la visita furono usate come strumento di propaganda, per rappresentare il dominio tedesco in una luce positiva.

La fine del ghetto e il dramma della deportazione

Con l’avvicinarsi della fine della guerra, ogni sforzo propagandistico fu abbandonato e si decise di liquidare il campo. Circa 18.402 persone, inclusi molti bambini, furono deportate ad Auschwitz. Nelle ultime settimane del conflitto, il ghetto si riempì di nuovi deportati, giunti in condizioni terribili dopo estenuanti marce della morte.

Il 5 maggio 1945, il campo fu affidato alla Croce Rossa e il 8 maggio 1945 le truppe sovietiche raggiunsero Terezin, liberandolo.

Il ricordo di Terezín

Oggi, Terezín è ricordato come il “ghetto delle false speranze”, ma anche come un luogo in cui la cultura e l’arte furono strumenti di resistenza. I disegni dei bambini e le attività culturali rappresentano una testimonianza toccante della forza dello spirito umano anche nelle situazioni più disperate.

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