MAURICE RAVEL: L’AVANGUARDIA DI UN ANTI-ROMANTICO TRA SIMBOLISMO E DECADENTISMO

MAURICE RAVEL: L’AVANGUARDIA DI UN ANTI-ROMANTICO TRA SIMBOLISMO E DECADENTISMO

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MAURICE RAVEL: L’AVANGUARDIA DI UN ANTI-ROMANTICO TRA SIMBOLISMO E DECADENTISMO

“Un orologiaio svizzero”. Questa è la definizione che Stravinskij usa per il suo stimato collega Maurice Ravel. E la passione per gli orologi e per la loro meccanica, effettivamente, trova conferma nella splendida musica che il genio francese compone nell’arco di tutta la sua carriera. L’elemento ritmico, infatti, è una costante di tutte le sue opere, un escamotage con cui tiene sintatticamente ben legate tra loro le strutture della singola composizione o le sezioni di uno stesso movimento. Coerenza formale ed essenzialità sono il tentativo di rimarcare i precetti della tradizione musicale francese; ma, diversamente dell’approccio neoclassico, non lesina l’utilizzo della tecnica armonica moderna, di dissonanze audaci, senza però tradire il tonalismo e attingendo volentieri dalla modalità antica.

Riservato, acuto, sensibile e ironico, Maurice Ravel è a pieno titolo un punto fermo della musica occidentale, un riferimento imprescindibile per pianisti, compositori e orchestratori di oggi.

 

CONTESTO CULTURALE

Nel 1857 Charles Baudelaire sta consegnando al mondo un’opera destinata a cambiare il panorama intellettuale europeo: Le fleurs du mal. In una delle poesie di quest’opera, Correspondances, trovano tratti identitari i Simbolisti: realtà visibile e realtà invisibile sono intimamente collegate, con quest’ultima che è uno specchio simbolico di ciò che i sensi percepiscono. La conoscenza, dunque, prende forma grazie all’intuizione, a sua volta favorita dalla capacità propria dell’arte di evocare tutto quello che è sensibile. Di più: l’arte sfrutta ciò che è sensibile per rimandare simbolicamente a delle corrispondenze non percepibili, misteriose. 

A questa vicenda intellettuale si vanno ad aggiungere la crisi del Positivismo, reo di non aver risposto agli interrogativi esistenziali nonostante il cavalcante progresso scientifico e tecnologico, e una realtà sociale ben lontana da quella che il grande sviluppo industriale poteva lasciar sperare, con disuguaglianze, ingiustizie e povertà quali tratti comuni di tutte le popolazioni del continente. Questa situazione porta al Decadentismo, fase parallela al Simbolismo, che vede la fondazione della rivista “Le Décadent” nel 1886 e la comparsa del Manifesto dei simbolisti di Moréas, cui aderiscono Mallarmé, Verlaine e Rimbaud.

E in musica ritroviamo ogni sfaccettatura di questa intensa, eterogenea, tormentata condizione intellettuale: se da un lato (piuttosto marginale) il crudo realismo di Carmen e di Traviata riverbera la caducità dell’esistenza umana, il fenomeno wagneriano viene accolto dalla borghesia come perfetta esemplificazione della redenzione dal peccato, del ritorno al passato lontano, spesso leggendario, come operazione epurativa necessaria, squisitamente estetica, scevra da qualsivoglia esercizio moralizzatore; dai musicisti, invece, viene rivolto un interesse squisitamente tecnico per le innovazioni stilistiche e formali del compositore tedesco. Ne risulta un incessante e devoto pellegrinaggio a Bayreuth, fatto culturale la cui portata va considerata soprattutto alla luce di un contesto nazionalista anti-germanico quasi fanatico della Francia di questi anni.

 

FORMAZIONE E CARRIERA

Nato da madre spagnola e padre svizzero, Maurice Ravel intraprende lo studio del pianoforte a Parigi con Henry Ghys nel 1882 e con Émile Decombes dal 1888, dopo aver avviato gli studi di armonia l’anno precedente con Charles René. È in questi anni che stringe la duratura amicizia con il coetaneo Ricardo Viñes, compagno di studi che sarà l’esecutore di molte sue composizioni. 

L’evento della grande Esposizione Universale che Parigi ospita nel 1889 espone anche Ravel alle sonorità orientali, da cui resta inevitabilmente affascinato. Questo è l’anno in cui entra in conservatorio e dal 1891 approfondisce gli studi di armonia e composizione. Nel 1895, dopo aver composto alcune opere importanti, tra cui la Serenade Grotesque, il Menuet Antique per pianoforte, l’Habanera per due pianoforti (che utilizzerà più tardi, nel 1907, nella Rapsodie espagnole), e dopo aver conosciuto Satie, abbandona gli studi, per poi riprenderli nel 1898, prima con Gédalge e poi con Fauré. Di questi anni sono la Sonata per violino e pianoforte, i Deux épigrammes de Marot, la celeberrima Pavane pour une infante défunte, l’Entre cloches (secondo quadro dei Sites auriculaires), il meraviglioso Gaspard de la Nuit, capolavoro pianistico ispirato ai poemetti di Bertrand, e l’ouverture Shéhérazade, diretta dallo stesso autore e accolta assai negativamente dal pubblico. 

La carriera di Ravel, infatti, sia per la precocità del suo talento che per una serie di eventi legati anche al suo temperamento, è spesso costellata da scandali e querelles che infiammano i giornalisti francesi, sempre a caccia di qualche pettegolezzo su cui scrivere. L’esempio più eclatante lo possiamo trovare nella vicenda che lega il compositore al Prix de Rome: se nel 1901 si classifica al secondo posto con la cantata Myrta, nei due anni successivi non riesce a superare le fasi eliminatorie; un ultimo tentativo nel 1905, anche questo infruttuoso. Ma in quest’occasione scoppia una grande polemica che porta alle dimissioni dalla direzione del Conservatorio di Parigi da parte di Dubois e al subentro di Gabriel Fauré, con cui Ravel termina gli studi proprio nello stesso anno.

Altre critiche arrivano dopo la prima esecuzione delle Histoires Naturelles per voce e pianoforte, in cui il trattamento della parte vocale non convince il pubblico; o la stesura dell’opera teatrale L’Heure Espagnole, eseguita nel 1911 dopo vari tentativi di contrasto.

Nel 1909, benché restio a collegarsi a enti o accademie nazionali e simili, non rinuncia a sposare la causa culturale della musica del suo tempo e fonda la Societé Musicale Indépendante (insieme a Schmitt e Fauré), il cui scopo è quello di diffondere la musica contemporanea; scrive anche come critico musicale illustre per le riviste “Revue Musicale” e “Comoedia Illustrée”). 

Dal 1913 al 1914 soggiorna a Clarens, in Svizzera, dove entra in contatto con Stravinskij, il quale lo inizia allo studio della musica di Musorgkij e di Schönberg, dalle cui pagine prende ispirazione la composizione dei Trois Poèmes de Mallarmé e del Trio per violino, violoncello e pianoforte

Contagiato dal furore patriottico, decide di arruolarsi per partire in guerra, ma come tutti i giovani del suo tempo ne resta profondamente segnato. Giudicato inabile, viene spedito a guidare autocarri prima di rientrare a Parigi, dove assiste nel 1917 al funerale della madre, altro evento che getta il compositore in una profonda crisi.

Dopo la duplice esperienza di Daphnis et Chloé e di Adélaïde ou le langage des fleurs, oltre alla versione coreografata di Ma mère l’Oye, Ravel torna nel 1919 a collaborare con il celebre coreografo russo Diaghilev, che gli commissiona l’orchestrazione de La valse, un lavoro precedente adattato a poema sinfonico per balletto. La musica raffinata e audace, però, non viene reputata idonea alla messa in scena e il maestro russo si rifiuta di rappresentarla. L’anno successivo termina il Duo per violino e violoncello e viene invitato a ritirare, quale artista musicale francese più importante ancora in vita (specie dopo la morte di Debussy), la prestigiosa onorificenza della Legion d’onore, che rifiuta in perfetta linea con la sua risaputa avversione alle ufficialità. Si trasferisce quindi l’anno seguente a Monfort, dove inizia a orchestrare i Quadri di un’esposizione di Musorgskij, tra le sue opere più conosciute.

Ormai famoso in tutto il mondo, in questi anni Ravel si avventura in tournées da pianista e direttore a Londra, Amsterdam, Venezia, Barcellona, Oxford (dove riceve in seguito la laurea honoris causa), Scozia; ma anche Canada e Stati Uniti, dove conosce Gershwin e si innamora del jazz. 

Problemi di salute sempre più gravi lo costringono a un rallentamento inesorabile della sua produzione, permettendogli comunque di terminare il testamento spirituale dei Trois Chansons de Don Quichotte à Dulcinée nel 1932. Si sposta in Marocco e in Spagna nel 1935, per poi sottoporsi a un intervento chirurgico nel 1937 che lo porta al coma.

Il 28 dicembre dello stesso anno Ravel, il genio francese del nuovo secolo, muore.

 

STILE 

Benché votata a un più attento formalismo strutturale, anche la musica di Ravel, come quella di Debussy, si serve di elementi musicali tipicamente orientali (come ostinati ritmici e scale modali), dello stile clavicembalistico francese dell’età barocca o del Jazz nascente in quegli anni in America. Infatti, è opportuno sempre chiarire che lo stile di Ravel non esce mai definitivamente dal “binario tonale” d’impianto, pur avventurandosi in episodi ricchi di dissonanze spigolose e sconvolgenti, preservando sempre razionalità e chiarezza formale; di Debussy, spesso, non si può dire altrettanto. Si aggiunga che Ravel, di 13 anni più giovane del collega, giunge a risultati apparentemente simili ben prima di questo, grazie soprattutto dell’insegnamento di Fauré e di Chabrier. L’opera più vicina alle atmosfere di Debussy è certamente Jeux d’eau, nata proprio negli anni di più intenso contatto tra i due.

L’approccio estetico di Ravel, come spiegano Carrozzo e Cimagalli, può considerarsi anti-romantico, ironico, distaccato: la sua musica non riflette sempre ciò recondito giace nell’animo, non è mai solo conseguenza di un flusso di coscienza o di un travaglio emotivo, non è mai per forza specchio di uno spirito tormentato che nei suoni trova sfogo. A riprova di questo si pensi all’uso estremamente “meccanico” del ritmo in molte sue composizioni, quasi a cristallizzare con freddezza una cornice oggettivamente essenziale in cui si inseriscono i vari episodi musicali.

Beninteso, con ciò si intende semplicemente segnalare una peculiarità delle opere raveliane molto ricorrente, realizzabile solo grazie ad abilità compositive non comuni: giudicare inespressiva e algida la musica di Ravel sarebbe un sacrilegio, un affronto gravissimo al suo genio, capace invece di dare forma a pagine musicali di inestimabile valore espressivo, ricche di sensualità, di emotività, di passione. Basti pensare anche solo al secondo movimento del Concerto in Sol per pianoforte e orchestra o alle Chansons madécasses per voce, flauto, violoncello e pianoforte. A differenza di molti suoi coevi, Ravel non tenta nemmeno di risultare bohemien, rivoltoso o in polemica con la cultura del suo tempo: un uomo riservato, un atteggiamento artistico quasi “artigianale”, come sostiene Guido Salvetti.

Insomma, Ravel viene identificato come uno dei più convinti rappresentanti del ritorno a una musica più essenziale, pura, a una maggiore razionalità estetica, lontano da impressionismi e simbolismi. Tutti i caratteri topici della sua musica mostrano negli anni un sofisticato perfezionamento, pur restando fedeli a sé stessi. Pensiamo alla struttura formale delle composizioni, all’uso della melodia e a pattern ritmici consolidati, ma anche al sempreverde arcaismo, allo spagnolismo, a quell’ironia beffarda paradossalmente antipoetica che troneggia soprattutto nel camerismo vocale.

L’evocazione spagnoleggiante, in un primo periodo più escogitata attraverso l’uso di melodie sensuali e accattivanti, col tempo si consolida nell’esaltazione di un ritmo marcato, perfettamente simmetrico. Gli ostinati sono una soluzione ricorrente anche nelle opere pianistiche che guardano all’antico clavicembalismo francese, esempi di raffinatezza unica, come testimoniano i sei quadri del Tombeau de Couperin, capaci di evocare nostalgicamente un passato perduto. Anche il trattamento dell’orchestra nella stesura degli adattamenti dei lavori pianistici tradisce questa tendenza all’ordine formale e all’essenzialità, elemento che garantisce il successo dell’operazione stessa di trascrizione. Oltre agli appena citati Tombeau, ne sono un esempio Ma mère l’Oye, la Rapsodie espagnole, i Valses o l’opera teatrale L’enfant et les sortilèges del 1925 e al famosissimo Bolero del 1929, pensati dal principio per grande organico. Più lirici e sentimentali i due concerti per pianoforte, tanto quello in Re del 1930 per la sola mano sinistra, dedicato al pianista Wittgenstein e da questi eseguito, quanto quello in Sol del 1931 per Marguerite Long.

La musica da camera non resta per Ravel un territorio inesplorato: oltre alle opere già menzionate per pianoforte e voce, alla Sonata per violino e pianoforte, a quella per violino e violoncello e al trio per violino, violoncello e pianoforte, si ricordano anche il Quartetto per archi del 1902 e il settimino Introduction et Allegro del 1905.

 

Sonorità suggestive, gusto arcaicizzante e spagnoleggiante, approccio antiromantico e un formalismo essenziale da cui sbocciano artifici armonici sorprendenti: gli ingredienti della musica di Ravel contribuiscono a renderla unica, un prezioso riflesso di una personalità affascinante e schiva, che dice tutto di sé ma conserva i segreti più intimi, lasciando che sia l’ascoltatore a dedurli o, perché no, a riscriverli.

Perché ascoltare Ravel? Perché pochi come lui sanno sorprendere, divertire, far viaggiare nel tempo e negli angoli più caratteristici del mondo con occhi spalancati; perché pochi come lui possono far sbocciare germogli coloristici mozzafiato da un cumulo di semplici idee costrette in un esile recinto; perché pochi come lui sanno accompagnare per mano l’ascoltatore nelle scene variegate del teatro della vita, dall’innocenza infantile di Ma mère all’ultimo respiro dei Tombeau.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

  • M. Carrozzo – C. Cimagalli, Storia della Musica Occidentale (vol. 3), Roma, Armando Editore, 1997
  • Guido Salvetti, La nascita del Novecento da Storia della Musica a cura della Società Italiana di Musicologia, Torino, EDT, 2018
  • Susanna Pasticci, L’influenza della musica non occidentale sulla musica occidentale del XX secolo, in Enciclopedia della Musica. V. L’unità della musica. Torino, Einaudi, 2005
  • N. Campogrande, 100 brani di musica classica da ascoltare almeno una volta nella vita, Milano, Mondadori, 2018
  • Encicloppedia L’Universale, la Grande Enciclopedia Tematica, 2005, vol. XIV, pp. 728-730

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