Buon compleanno, Händel!

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Buon compleanno, Händel!

Il 23 febbraio del 1685 nasce Georg Friedrich Händel, uno dei compositori più influenti dell’epoca barocca. 

Il suo è uno stile sontuoso, solenne, elegante e al contempo intimo, ammiccante, irriverente, uno stile che risente degli influssi d’Arcadia e del teatro francese, in grado di dare sensualità a voci e strumenti, che non manca di riverenze né di richiami popolareggianti. A rendere immortale la sua musica è una padronanza tecnica unica, nonché una potenza retorica prorompente, sublimate in artifici che conferiscono alla sua musica sinuosità e pathos.

Figura solare e ambiziosa, col passare degli anni e il sopraggiungere di problemi di salute il compositore sassone tende progressivamente a isolarsi (al netto delle forzate relazioni professionali, s’intende), entrando talvolta in conflitto con committenti, colleghi e persino con il re, con cui però non tarda a riconciliarsi.

 

Formazione e carriera

Händel proviene da una famiglia benestante e frequenta un ambiente culturalmente vivace. Si forma ad Halle, città natale, con Friedrich Wilhelm Zachow tra il 1693 e il 1696 e poi si sposta ad Amburgo per studiare con Reinhard Keiser. Qui scrive una Passione secondo Giovanni e fa eseguire quattro opere nel teatro locale.

Tra il 1706 e il 1710 Händel si trova in Italia, dove frequenta i colti circoli di Venezia, Napoli, Firenze e della Roma papale. Proprio nell’Urbe viene apprezzato e introdotto nell’aristocrazia locale, diventando presto il protetto del cardinale Ottoboni e del marchese Ruspoli; qui respira, inoltre, tanto il profumo di una tradizione monumentale di autori come Giacomo Carissimi, Alessandro Stradella e Giovanni Bononcini, quanto l’aria sofisticata d’Arcadia dei vari Corelli, Pasquini, Scarlatti. Con Domenico Scarlatti, narra la leggenda, si sfida all’organo e al clavicembalo, dimostrando le sue mirabili doti di esecutore. 

Dalla fine del 1710, dopo una breve parentesi ad Hannover, si trasferisce a Londra, dove resterà fino alla fine dei suoi giorni.

Il palinsesto händeliano può cronologicamente dividersi in due macrosezioni, sempre e comunque complementari, ma contraddistinte da una prevalenza specifica di scelte formali a seconda del periodo: si dedica soprattutto al melodramma fino al 1741, dopodiché si concentra maggiormente sugli oratorii sacri.

 

Il Sassone al servizio di sua Maestà

La situazione politica che trova Händel quando giunge in Inghilterra è certamente tesa, anche se molto meno di quella che, circa mezzo secolo prima, aveva portato alla guerra civile, alla dittatura di Cromwell, alla Glorious Revolution e al ritorno degli Stuart. Gli ultimi esponenti di questa dinastia muoiono senza eredi e l’ala whig, preoccupata dall’ipotesi che possa salire al trono una famiglia non protestante, spingono per favorire una successione che preservi la fede anglicana di Stato, come era stato sancito anche dall’Act of Settlement del 1701. La linea di successione porta, così, direttamente al principe elettore di Hannover, discendente diretto di Elisabetta Stuart, figlia di Giacomo I. 

Il nostro compositore sbarca in una Nazione che sta combattendo la guerra di successione spagnola e che attende la fine del regno della sovrana Anna consapevole che dovrà accogliere nuovi monarchi dalla Germania. Tale prospettiva non entusiasma particolarmente i tories, conservatori, che attaccheranno la musica di Händel come pretesto per mostrare il dissenso verso Giorgio I (re dal 1714) e la presenza tedesca. 

Al netto della moda italiana dirompente che ha monopolizzato le scene di tutta Europa, il genio sassone sarà bersaglio di quell’ala parlamentare più per ragioni politiche che per divergenti gusti musicali. Ma neppure la fondazione dell’Opera della Nobiltà basterà ad arginare il successo inarrestabile che egli otterrà.

 

Teatro

Il giovane Händel esordisce ad Amburgo con l’Almira nel 1705, opera di ambientazione veneziana, benché su testo tedesco. In Italia compone ed esegue il Rodrigo (1707, Firenze) e l’Agrippina (1709, Venezia).

Poi il trasferimento a Londra, dove tra il 1711 e il 1741 il Maestro di Halle compone 36 opere, suddivise dallo studioso Alberto Basso in 5 periodi di produzione differenti, tra le quali si citano il Rinaldo (1711), l’Orlando (1733), il Serse (1738) e Deidamia (1741), la sua ultima opera. 

In Inghilterra Händel si trova a dover assecondare i gusti di un pubblico raffinato e vezzoso, ammaliato dallo stile e dalla lingua italiana. Nelle opere händeliane il solista domina con virtuosismi funambolici, ma non manca l’adesione alla causa retorica ed espressiva guidata dalla Teoria degli Affetti. Per il compositore tedesco, figlio del proprio tempo e della sua estetica, nulla è lasciato al caso: l’alternanza mai banale delle sequenze musicali, l’utilizzo sapiente dell’organico strumentale, gli intervalli di grande impatto emotivo e drammatico, la profondità delle scelte timbriche e degli impianti tonali, l’intenzione logogena delle melodie…i doveri “commerciali” di Händel non piegano il suo estro né la sua sensibilità. 

Ottenendo la cittadinanza inglese nel 1727, il compositore soddisfa la condizione necessaria per poter ricoprire il ruolo di direttore del Covent Garden (1734; vi lavora in due momenti distinti, terminando il primo incarico nel 1737 e riprendendo successivamente fino al 1749. Da precisare che un primo, prestigioso incarico simile gli era già stato assegnato per dirigere il King’s Theatre e il Quenn’s Theatre negli anni precedenti), periodo dal quale si fa dichiaratamente sedurre dalla forma teatrale francese, quasi in reazione alla crescente egemonia italiana che gli stava creando diversi problemi sul piano professionale (molti compositori italiani, su tutti Nicola Porpora e il castrato Farinelli al suo seguito, rappresentavano la concorrenza musicale stabilitasi presso l’Opera della Nobiltà). A questo periodo appartengono le opere Ariodante e Alcina che, insieme all’Orlando, formano il trittico ariostesco; ma va menzionata anche la produzione di Terpsichore, un esempio di musica teatrale destinata alla coreutica, pensata per la più grande danzatrice dell’epoca, la francese Marie Sallé, in servizio al Covent proprio sotto la prima gestione di Händel.

 

Musica Sacra

Come anticipato, il contatto con il repertorio sacro avviene già negli anni in cui Georg Friedrich è allievo di Keiser ad Amburgo, nello specifico nelle pagine delle Johannes-Passion del 1704. Ma anche a Roma Händel si cimenta nella composizione di musica sacra, portando a termine alcune cantate e gli oratori Il Trionfo del Tempo e del Disinganno e La Resurrezione, rispettivamente del 1707 e del 1708.

Del lungo periodo inglese sono le forme in cui mirabilmente concilia il carattere mitologico e quello prettamente sacro, generando prototipi oratoriali “da concerto” che entrano nei teatri nonostante l’estrazione sacra. Si pensi all’Alexander’s Feast del 1736 o all’Ode per il giorno di Santa Cecilia del 1739.

A Londra approfondisce lo studio delle opere di H. Purcell, stimato rappresentante della musica inglese del secolo precedente, e di altri Maestri inglesi. 

Le sue opere sacre sovente si contestualizzano in eventi di corte e in cerimoniali nazionali. Si rimanda al Te Deum o allo Jubilate con cui viene coronata la Pace di Utrecht (1713), o al Te Deum con cui si celebra la vittoria inglese di Dettingen (1743), senza dimenticare i numerosi Anthems, grandi mottetti policorali con testo salmico in lingua inglese (menzione d’onore per quello in occasione dell’incoronazione di re Giorgio II, 1727,  e per quello funebre per la regina Carolina, 1738); del primo periodo inglese è anche l’ultima opera “tedesca” di Händel, composta nel breve soggiorno ad Hannover, la Passion nach Brockes, detta anche Brockes-Passion, un Oratorio-Passione il cui testo, firmato dal poeta tedesco Brockes, è particolarmente apprezzato in quegli anni, tanto da essere sistematicamente utilizzato come riferimento anche da altri autori (Bach e Telemann su tutti, per fare altri due nomi illustri).

È proprio negli oratori che Händel concilia la sua fede sincera e l’incredibile padronanza tecnica; egli marca il carattere teatrale di questo genere ed esibisce una scrittura che sa essere al contempo solenne e umana, potente ed espressiva, sontuosa e intima, trionfale e sofferta.

Il suo oratorio più famoso, il Messiah, è la sintesi del suo genio, l’apoteosi di quella sobria teatralità che si addice al genere, un meraviglioso contenitore in cui il colore e la potenza solenne dei cori si fondono con il virtuosismo elegante ed evocativo delle arie, giovando del potere retorico degli strumenti che interagiscono con le voci in maniera sempre pertinente ed efficace. 

Il Messiah nasce in un periodo burrascoso. È il 1741, il compositore tedesco ha completato la sua ultima opera londinese, ma la sua inquietudine cresce e medita un trasferimento in Irlanda. Arriva a Dublino, dopo aver composto la partitura del celebre oratorio in sole tre settimane. Il testo è scritto da Charles Jennens, su passi biblici e del Prayer Book, l’usale anglicano. L’opera è divisa in tre parti, dedicate in ordine alla nascita di Cristo, alla sua Passione, morte e Resurrezione e alla riflessione escatologica sul Cristianesimo e sul suo ruolo nel mondo.

Il Messiah non è un semplice excursus narrativo che riguarda la storia di Cristo, ma un continuo soffermarsi sull’esegesi dei vari momenti presi dalle Scritture, una missione autenticamente oratoriale che si svolge riportando nelle sublimi sequenze musicali di cui si compone quella profonda ricerca del valore del sacrificio di Cristo, del sentimento cristiano autentico, della morale che il buon credente deve coltivare e osservare.

Diversamente da altre forme simili coeve, il Messiah non contempla la figura del narratore, ma presenta una successione di sequenze solistiche, corali e recitative (pochissime) che in maniera autonoma riflettono sulla dottrina cristiana, in un percorso formalmente eterogeneo ed emotivamente intenso.

 

Musica strumentale

La maggior parte della musica strumentale del compositore sassone viene prodotta dopo il 1730 e annovera i numerosi concerti per organo (19), le opere concertanti come la Water Music (1715) o la Fireworks Music (1749), i Sei Concerti op. 3 con oboe obbligato (scritti nel 1711 ma pubblicati nel 1739) e i 12 Concerti Grossi op. 6 (1739). In quest’ultima opera si percepisce l’influsso dato alla forma da Arcangelo Corelli, benché Händel non fosse un fanatico delle forme standardizzate. Troviamo, infatti, l’incontro tra lo stile italiano e quello francese dell’ouverture tripartita, o l’impiego della fuga e del fugato e delle danze.

Anche nelle suites per clavicembalo gli stili italiano e francese si fondono spesso e manca l’adesione a uno schema prefissato. Come riporta A. Basso, diversamente dall’illustre coetaneo Bach, egli allo schema contrappuntistico preferisce “una maggiore libertà e il principio della variazione”.

 

Un trionfo senza tempo

Diversamente da ciò che avviene per Bach, il trionfo di Händel non conosce eclissi dopo la sua morte. Da Haydn a Mozart, passando per la devozione autentica di Beethoven, i compositori connazionali del Classicismo e del Romanticismo elogiano senza riserve lo sfarzo della musica di Georg Friedrich, innalzando i suoi capolavori a esempio irrinunciabile per le nuove generazioni di compositori: si pensi alla Missa Soleminis dello stesso Beethoven o agli oratorii Paulus ed Eliah di Felix Mendelssohn, per citare degli esempi.

E se oltremanica l’affetto nazionale per il Sassone non viene mai meno (sepoltura a Westminster e monumento celebrativo sono un discreto attestato di stima), in Germania si tornerà a guardare con orgoglio al maggior rappresentante tedesco musicale all’estero quando i frutti del primo nazionalismo e della Stimmung romantica saranno maturi. Nel 1843 Schumann scrive da Londra della fondazione della Händel Society e in patria, con Friedrich Chrysander, nasce nel 1856 la Händel-Gesellschaft, che inizierà nel 1860 la pubblicazione degli opera omnia con il supporto finanziario anche degli Hannover, la Casata al regno d’Inghilterra che Georg Friedrich aveva celebrato sin dalla prima generazione.



BIBLIOGRAFIA

  • F. Rainoldi, Traditio Canendi, Roma, Ed. Liturgiche, 2000
  • N. Campogrande, 100 brani di musica classica da ascoltare almeno una volta nella vita, Milano, Mondadori, 2018
  • A. Basso, L’età di Bach e di Haendel, da Storia della Musica a cura della Società Italiana di Musicologia, Torino, EDT, 1991, II ediz.
  • M. Carrozzo – C. Cimagalli, Storia della Musica Occidentale (vol. 2), Roma, Armando Editore, 1997

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